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PS: Ci sono aggiornamenti. Leggete sotto le parti in corsivo. Riassumendo gli scandali che escono fuori sono riconducibili al cattivo stato del giornalismo italiano: sensazionalista (perché il soggetto in questione puntava molto sulle affermazioni degli scrittori contrarie alle aspettative), straccione (perché comunque il giornalista in causa veniva pagato 20 euro a pezzo, come accade a moltissimi altri giornalisti freelance) e incapace di fare domande (perché c’è voluta una giornalista che da New York facesse un paio di telefonate per scoprire la versione dell’inventore di incontri). Annamo bbene.

Nell’annuario dei giornalisti c’è un Tommaso Debenedetti, nato il 10 febbrario 1969 e residente a Roma, iscritto all’albo dal maggio 1997 come pubblicista. Sono tredici anni che fa il giornalista e dei suoi articoli trovo tracce negli archivi on-line solo dal 2000, con degli articoli per il “Mattino” di Napoli e per i tre giornali riuniti sotto il cappello “QN – Quotidiani nazionali”, “il Giorno”, “il Resto del Carlino”, “la Nazione”. Sono tutte interviste interviste a scrittori, letterati, intellettuali. Nomi altisonanti, mica da esordienti da quattro soldi.

A quanto si dice su internet, dovrebbe essere un giornalista freelance, quindi immagino che sia difficile per lui guadagnarsi da vivere, così come lo è per tanti e lo sarà per me (ahimé!). Tuttavia questa difficoltà non lo giustifica e non lo distoglie dal seguire delle regole deontologiche riassumibili semplicemente in una frase:

Non scrivere cazzate

Riassumiamo un po’. Paola Zanuttini de “il Venerdì” intervista Philip Roth, gli chiede conto di una dichiarazione rilasciata a un’intervista su “Libero” a…Tommaso Debenedetti.

Nell’intervista citata Debenedetti mette in bocca a Roth questa frase: “Obama? Una grandissima delusione. Sono stato fra i primi a credere in lui, ad appoggiarlo, ma adesso devo confessare che mi è diventato perfino antipatico”. (qui le cache dell’intervista ritrovata da Alberto Cane), In questa fase è difficile dire se sia un’invenzione di Debenedetti o di un redattore di “Libero“? Ancora non è facile dirlo, ma ci arriviamo subito.

Alla Zanuttini lo scrittore risponde: “Sono molto seccato per queste dichiarazioni che mi vengono attribuite: non ho mai parlato con questo Libero. Smentisca tutto. Ora chiamo il mio agente”. Chiama la gente, fanno una verifica e risulta che nell’agenda delle interviste non risulta né “Libero” né Debenedetti.

L’eco della vicenda è arrivata fino agli Usa. Judith Thurman ha pubblicato il resoconto su una rivista da niente il “New Yorker” (sapete, quella dove Hannah Arendt pubblicava le cronache dal processo Eichmann raccolte poi ne “La Banalità del Male”, oppure ancora quella rivista in cui Seymour Hersh pubblica le sue inchieste. Sì, proprio quella. Robetta che nessuno si fila). Ecco, la Thurman che è una giornalista americana, fa qualche telefonata e fa anche “fact-checking”, ovvero le verifiche del caso. Telefona a Roth, che ha telefonato a  Grisham e ha scoperto che anche lui è stato intervistato da Debenedetti. E anche lui ha avuto la stessa linea critica su Barack Obama.

Roth dichiara alla giornalista che forse quella di far denigrare Obama da scrittori americani è una strategia ideata per farsi pubblicare i pezzi.Grisham, autore di gialli giudiziari, farà una denuncia, mentre Roth vorrebbe evitare lo sbattimento.

Ma la storia non si ferma qui. Judith Thurman scopre che Debenedetti ha pubblicato un’ intervista con Gore Vidal nientepocodimeno che su “l’Espresso” (“a prominent journal”).
Neanche Vidal ha mai sentito nominare Debenedetti.  “L’Espresso” smentisce. L’intervista è stata rilasciata per uno dei quotidiani locali del gruppo. (Era disponibile sul sito, ma è stata rimossa. Le cache ci vengono sempre in aiuto).

Qua la Thurman bastona l’Espresso (però a torto) per non aver fatto fact-checking. E, come sottolinea Christian Rocca, lo smacco al gruppo editoriale “l’espresso” è doppio, perché Debenedetti è riuscito a piazzare un’altra intervista, quella al premio Nobel per la letteratura nel 2009 Herta Muller, su “il Piccolo” di Trieste. Dal sito del quotidiano triestino l’intervista è scomparsa, ma è ancora visibile nelle cache. Di Herta Muller esiste anche un’intervista del nostro eroe per “il Giorno”, “il Resto del Carlino” e “la Nazione”.

La Thurman, che è una giornalista americana e quindi sa come si fa il mestiere, a differenza di Debenedetti, si mette a seguire il filone triestino, alza la cornetta e fa qualche telefonata (cosa che io non ho fatto perché sono qui in veste di blogger e nessuno mi paga per fare scoop) e che ti scopre? Che Toni Morrison, nobel per la letteratura nel 1993, nega di aver mai parlato con Debenedetti; che E. L. Doctorow non si riconosce nelle sue parole, che Roth si stupisce di aver concesso due interviste a T.D. nel 2009 (ma sono di più, leggete più in basso), che Helmut Frielinghaus, l’editor di Gunter Grass, nobel nel 1999, non ha mai visto prima queste interviste, che la moglie del nobel 2008 Jean-Marie Gustave Le Clézio trova improbabili certe dichiarazioni del marito, che Nadine Gordimer, nobel nel 1991, che Herta Müller non parla facilmente coi giornalisti, stando al suo addetto stampa, A. B. Yehoshua e Scott Turow non ricordano interviste concesse a lui.
La redattrice del New Yorker che fa poi? Alza la cornetta e chiama al “Piccolo”, parla con un collega triestino, Alessandro Mazzena Lona, colto quasi di sorpresa dalla questione, ma che conferma che Debenedetti è figlio dello scrittore Antonio, e nipote del famoso critico letterario Giacomo Debenedetti, su cui Tommaso ha curato alcuni lavori. Mazzena Lora afferma di non aver mai potuto vedere documenti e prove delle interviste di Tommaso Debenedetti anche perché abita molto lontano da Trieste. D’altronde non aveva mai avuto motivo di dubitare delle veridicità delle interviste perché non aveva mai ricevuto segnalazioni e perché la famiglia del giornalista ha buone connessioni negli ambienti letterari. Se c’è un motivo per cui possa averlo fatto, afferma Mazzena Lora, non sono i soldi ma la megalomania. Poi…vi lascio in sospeso. Leggete fino alla fine.

Sul “GuardianJohn Hooper arricchisce il quadro. Anche lui nota come un motivo centrale delle sue interviste siano il disaffezione di scrittori famosi verso il presidente americano. Nell’intervista di Tommaso Debenedetti persino la tedesca Muller avrebbe criticato Obama per non essere stato più duro coi cinesi, per non dire di Gore Vidal…Vidal, che nell’intervista all’Espresso, avrebbe anche esaltato Berlusconi: “Questo Re Mida pieno d’oro che adesso, arrivato a oltre settant’anni, si compiace di far parlare delle proprie abilità amatorie. Eccezionale!”. E in un’intervista del 2006, John Le Carré avrebbe affermato a Debenedetti che non ci avrebbe pensato due volte a votare Berlusconi, affermazione che Le Carré smentì in quello stesso anno al Guardian che gli chiedeva informazioni.

Giovedì sera ho avuto un breve scambio di opinioni su Twitter con i Wu Ming,gli ex di “Luther Blissett”, era dei maghi nel piazzare false notizie ai giornali:”pensa a quante false notizie rifilò ai giornali Luther Blissett! Solo che noi poi lo dicevamo”. Ieri facevano notare come alcune interviste di Debenedetti pubblicate su “il Piccolo” siano nel filone non più “anti-obamiano” ma “pro-tema delle foibe”, come quelle a Herta Muller e a Gunter Grass. Tutti gli scrittori, dicono in sintesi, sono diventati di destra.

Rocca, giornalista de “il Foglio“, vive a New York e ha incontrato Roth (fino a prova contraria o fino alla prossima smentita tramite intervista di Paola Zanuttini a Roth). Riporto qui dal suo blog:

Roth mi ha chiesto se conosco il tizio che s’è inventato la sua intervista ed era molto interessato a sapere quanti soldi potesse aver fatto con il falso. Meno di 200 euro, ho azzardato io. Gli ho anche detto che i capi di Libero credo siano molto imbarazzati e vittime loro stessi del falsario. Roth ha annuito e mi ha ribadito che se Repubblica non gliel’avesse detto certamente non l’avrebbe mai scoperto. Mi ha chiesto, inoltre, se Debenedetti sia nipote (“grandson“) del famoso critico letterario Debenedetti, come gli ha detto qualcuno. I don’t know, ho risposto.

Stando alla rassegna stampa della Camera Debenedetti ha piazzato in dieci anni un’ottantina di articoli.Di questi 62 sono interviste a scrittori o intellettuali. Di queste 62 interviste nove sono ad Abraham Yehoshua, cinque sono a Philip Roth, cinque a John Le Carré e quattro a Gore Vidal. Quante di queste saranno vere?

Ebbene, qua torniamo alla nostra Judith Thurman. Non soddisfatta che fa? Si fa dare il numero di telefonino di Tommaso Debenedetti e, indovinate un po’, gli chiede direttamente conto delle false interviste, gli fa delle domande! Incredibile, e sono anche domande reali, non inventate. Lui chiaramente, in stile “Berlusconi”, rigetta ogni accusa e anzi contrattacca dicendo che Grisham e Roth mentono per convenienza politica. Il giornalista italiano nega di aver inventato anche le altre interviste, però non ha più documenti che attestino gli incontri o le registrazioni di questi. (Forse, da bravo letterato, dovrebbe leggersi l’ultimo libro di Maurizio Ferraris allora). Alla fine conclude dicendo che per le interviste è stato pagato quasi nulla, 20 euro a pezzo (conosco bene la situazione, e anche questa è uno scandalo).

Ora, sembra chiaro che la carriera di questo sedicente giornalista è finita. Dopo un’intervista a Banana Yoshimoto per i tre giornali del sistema QN non è più comparso nulla. Sarà finita perché si è sparsa la voce nelle redazioni, alcune delle quali hanno prontamente cancellato dai loro siti internet le sue finte interviste. Sarà finita perché ora più nessuno gli ha creduto quando ha detto “Ho un’intervista bomba con Tizio che parla male di Obama”. Magari la sua storia sarà come quella dell’ispiratore del film “L’inventore di favole”. Negli anni Novanta si scoprì che Stephen Glass, editorialista per il “The New Republic” e giornalista free lance per diverse riviste quali “Rolling Stone”, “Harper’s”, inventava di sana pianta gli scoop che lo resero un giornalista promettente. Lui cadde in disgrazia, e forse anche Tommaso Debenedetti. Essere sputtanati già su “New Yorker” e “Guardian” dovrebbe bastare.